sabato 22 ottobre 2016

PAOLO CECCHETTO, L'uomo che visse due volte
Ho conosciuto un uomo. Un uomo il cui carisma ha il particolare dono di rendere l'aria frizzante. Tutti quelli che incrociano il suo sguardo sorridono spinti da una magica empatia.
L'ho conosciuto in una giornata di festa, in cui si celebrava uno straordinario team e delle eccezionali vittorie, tra le quali spicca la sua grande impresa. Lui, che di quel team è il capitano, è Paolo Cecchetto e la sua è una storia di rivalsa e di talento perché, come scoprirete leggendo, lui prima di tutto è un fenomeno. 
La sua incredibile storia inizia con un incidente in moto in seguito al quale, a 22 anni, perde l'uso delle gambe divenendo paraplegico. Quello che per molti poteva essere un epilogo per lui è un inizio, perché si hanno due vite, e la seconda comincia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una. Paolo lo capisce e incomincia a vivere di sport e di affetti. Per 12 anni si dedica anima e corpo all'Atletica paralimpica con la wheelchair ottenendo ottimi risultati, poi per 2 anni gioca a Basket in carrozzina a Cantù e Varese e infine prova anche l'Hockey su ghiaccio in carrozzina. Nel frattempo si sposa e ha tre figli. Il Cecco, come lo chiamano gli amici, è un cannibale sportivo. Non è mai sazio e vuole sempre trovare nuovi stimoli arrivando così all'incontro con l'handbike che gli cambia letteralmente la vita, travolgendolo di passione. Viene inserito nella categoria H3 nella quale dal 2000 al 2015 vince diversi Titoli italiani e nel 2008 si aggiudica il titolo di Campione Europeo, primo italiano a raggiungere un successo così prestigioso nell'handbike. Questi risultati gli valgono la convocazione per le Olimpiadi di Londra 2012, altra tappa fondamentale della sua storia: infatti, dopo una gara straordinaria disputata sempre al comando, Paolo commette un errore e si schianta quando era oramai in odore di medaglia. Quelli che seguono sono momenti difficili, l'insaziabile fame di vittorie di Cecco svanisce e, come mi ha rivelato lui stesso: "mi sono buttato giù e per un anno ho smesso di correre, perché quando un atleta non ha la testa il corpo non lo segue". Nel momento di massima crisi però interviene una figura fondamentale per Paolo Cecchetto, un leone che non ha mai smesso di credere in lui e che con la promessa di creare un squadra lo fa tornare a correre: Il leone è Ercole Spada, che costruisce il Team Equa  intorno a Cecchetto mettendogli a disposizione il meglio. Ercole chiama il coach Federico Sannelli, preparatore atletico professionale, nominandolo direttore tecnico del Team Equa. Cecchetto è molto competente e per questo è anche molto esigente  e siccome con il coach c'è una grande differenza di età (infatti Cecchetto è nato nel 1967 mentre Sannelli è classe 1990) il periodo iniziale è un periodo di studio in cui Paolo mette alla prova le competenze e la professionalità del nuovo coach. Scoprendo una persona che ha la sua stessa competenza e dedizione al lavoro nasce fra loro un feeling che Sannelli definisce "speciale, di totale sintonia e continuo confronto perché Paolo è una persona che ti fa appassionare a quello che fa e a quello che ti chiede di fare per lui". Il confronto fra i due diviene fondamentale, perché ogni scheda di allenamento e ogni variazione sulla preparazione è discussa con Cecchetto e realizzata grazie ad un lavoro simbiotico tra atleta e allenatore.  Il lavoro così strutturato porta subito i suoi frutti e nel 2015 Cecchetto si conferma Campione Italiano in linea battendo il campione del mondo Vittorio Podestà. Proprio i duelli con il campione del mondo sono un grande stimolo per Paolo che ne conosce l'importanza  "perché non ti puoi nascondere, se perdi sei fuori e se vinci sei ad altissimi livelli e io voglio essere al top".  Grazie al lavoro e ai risultati arriva la chiamata più agognata: la convocazione per le Olimpiadi di Rio 2016. Studiando il percorso il coach e l'atleta si accorgono che è adatto alle sue caratteristiche: prima del rettilineo finale infatti c'è una curva a 90 gradi molto tecnica e Sannelli mi rivela che "Paolo è un fenomeno, al mondo non c'è nessuno con la sua capacità di guida".  Nel 2016 tutta la stagione viene improntata per la preparazione della gara olimpica: ritiro in Liguria fin da Gennaio e una preparazione studiata per essere al 110% a Settembre. A Maggio arriva un test importante, la Coppa del Mondo in Belgio, dove Cecchetto termina secondo in volata confermando le buone sensazioni in vista dell'olimpiade.  Finalmente dopo tanta attesa si parte per Rio, i giorni che precedono la gara sono contrassegnati dalla tranquillità e dalla concentrazione: Paolo infatti non è uno di quegli atleti che hanno bisogno di sentirsi dare indicazioni fino all'ultimo come lui stesso mi riferisce "il mio modo di concentrarmi è particolare, chi mi è vicino deve prepararmi i materiali e deve essere competente quanto me, non c'è bisogno che parli. Perché io non cerco sicurezze da un allenatore, non sono un insicuro". La preparazione Cecchetto-Sannelli è perfetta e nei giorni che precedono la gara Paolo si accorda con Podestà per una strategia di gara che riescono ad attuare : Podestà tiene il ritmo e Cecco gli rimane attaccato. Nelle ultime curve partono tutti all'attacco e Cecchetto riesce a farsi strada e ad imboccare l'ultima curva, quella a 90 gradi che tanto avevano studiato: come pronosticato ripartono tutti da fermo. Tutti tranne uno, che dopo aver eseguito una curva da fenomeno assoluto qual'è si invola in solitaria verso il traguardo con il sorriso stampato sulla faccia. Sullo sfondo si intravedono due figuri che quasi si buttano al di là delle transenne tanta è l'emozione ed il trasporto: sono il suo coach Federico Sannelli e l'uomo che più di tutti ha creduto in questo momento, Ercole Spada. Paolo taglia il traguardo con le braccia alzate verso il cielo e una gioia che non può essere contenuta nei confini di un corpo umano. Oro Olimpico. La medaglia più prestigiosa, il traguardo più agognato da un atleta è di Paolo Cecchetto
La sua intervista a caldo è qualcosa di eccezionale: Cecco è lucidissimo ad analizzare la gara, ringrazia Podestà per l'aiuto e poi si abbandona alla felicità più assoluta con un grido che scuote Rio de Janeiro, pronunciando la mitica frase "sono così felice che ora posso camminare. Posso camminare!"
Persino Alex Zanardi, non uno che scherza in quanto ad eccellenza umana, dice di Cecchetto emozionando tutti "Pensate a Paolo Cecchetto, quante notti non avrà dormito dopo la delusione di Londra 2012 e adesso quante notti non dormirà per la felicità di Rio 2016". 
Lo stesso Zanardi che alla vittoria del Cecco Twittava "Siamo strafelici per Paolo Cecchetto: Oro!!! Da Londra a Rio, from zero to hero", quella sera usciva a prendere delle birre per festeggiarlo.
Adesso il Cecco sta già lavorando con il suo coach per la prossima stagione, per il prossimo traguardo. Come sempre un cannibale mai pago.
Questa è una storia sul talento di un fenomeno, dell'Uomo che visse due volte.
R.M.


venerdì 14 ottobre 2016

Matthew Le Tissier, "Le God"
4 Novembre 1986. Coppa di Lega. Si gioca al "The Dell", storico stadio del Southampton, che per l'occasione ospita il Manchester United. I padroni di casa asfaltano i red devils: 4-1. E un ragazzo di 18 anni che arriva da un'isola sperduta nella Manica, tal Matthew Le Tissier, segna una doppietta. Sono i suoi primi gol con la maglia dei Saints e costano la panchina all'allenatore dello United, Ron Atkinson, rimpiazzato con un scozzese figlio di operai che masticando un chewing-gum aveva già vinto 3 Campionati scozzesi e alzato 4 volte la Coppa di lega con l'Aberdeen: si chiamava Alex Ferguson e qualche anno dopo verrà insignito del titolo di "Sir" e nominato miglior allenatore del 21esimo secolo.
I primi gol di Le Tissier non sono banali, come mai banale sarà la sua carriera. 
Nasce a Guernsey, un isoletta tra l'Inghilterra e la Francia, il 14 Ottobre 1968. Esattamente il giorno in cui, dall'altra parte del mondo, nelle Olimpiadi in Messico Jim Hines vince i 100m scendendo per la prima volta nella storia sotto il muro dei 10 secondi (9"95 il suo tempo). Come vi dicevo: mai banale il nostro Matthew.
Dopo aver giocato e dominato il panorama calcistico sulla sua isola, decide di spostarsi nell'Hampshire dove viene preso nelle giovanili dei Saints e indossa per la prima volta la maglia a strisce bianco-rossa. Non giocherà mai più con nessun'altra maglia. 
Il legame che si crea nei 16 anni trascorsi insieme tra Le Tissier e i tifosi del Southampton è unico, come si può comprendere dal soprannome affibbiatogli: "Le God". Infatti tutti gli avversari che venivano in trasferta al The Dell si trovavano di fronte ad uno striscione che recitava così: "Benvenuti nella casa di Dio".
Mai banale, nemmeno nel soprannome.
Ma chi era Matthew Le Tissier come giocatore per essere così amato? una star rockeggiante come George Best? un idolo da copertina come David Beckham? No nulla di tutto questo, era un omone sgraziato di 186 centimetri, con una pancetta da Pub che non provava nemmeno a nascondersi sotto la maglietta bianco-rossa. Non aveva grande corsa e non disponeva di una forza fisica straripante. Ma il ragazzo aveva un talento che non aveva bisogno di essere supportato dal fisico: in tantissime immagini lo vedrete dribblare gli avversari quasi camminando e appena aveva un briciolo di spazio calciava verso la porta dei siluri dalle traiettorie imprendibili. 196 gol con i Saints giocando come fantasista in un calcio di grande corsa come quello inglese. La maggior parte dei gol sono segnati dalla lunga distanza, così non occorreva stancarsi troppo con la corsa e si poteva pensare al Coca-Malibu che lo aspettava al Pub. Un tiratore eccezionale che segnò 48 dei 49 rigori calciati in carriera. 
Non mancarono le possibilità a questo fenomeno d'altri tempi per raggiungere il successo nel grande calcio: lo contattarono  Tottenham, Liverpool, Chelsea e il Manchester United di quel Ferguson che avrebbe fatto carte false per affiancarlo a Cantona, ma furono tutte rifiutate. 
Perché a volte si crea un legame così magico e di equilibrio quasi alchimistico tra un giocatore e una squadra che non può essere ripetibile altrove: così Le God professò solo nell'Hampshire.
I suoi gol e le sue giocate sono di una spettacolarità ai limiti del reale, come il gol su calcio di punizione.. alla Le Tissier: punizione di seconda, tocco per Le God, palleggio e tiro a scavalcare la barriera nel sette.
L'ultimo passaggio epico della sua carriera si svolse il 19 Maggio 2001 in occasione dell'ultima partita della casa storica del Southampton: The Dell Stadium. I Saints ospitano i rivali dell'Arsenal di Arsène Wenger: risultato inchiodato sul 2-2, quando all'89' Le Tissier si inventa un gol di controbalzo sotto l'incrocio. 3-2 e omaggio al vecchio stadio. Sugli spalti ci sono migliaia di tifosi in lacrime per quello che è appena successo, un finale degno di un grande amore come quello tra Matt e il suo stadio. Inutile dire che dopo quel gol, Le Tissier non segnerà più, come un funambolo che cerca di recuperare un equilibrio ormai rotto prosegue con passo incerto fino al ritiro. Mai banale Matt.
Ora ha una villa nella sua isola natale, Guernsey, dove vive con un bicchiere di Coca e Rum sempre in mano e il ricordo del The Dell che si infiammava per Le God.
R.M.

Le God




mercoledì 5 ottobre 2016

LA RIVINCITA DI ACK
Le storie degli atleti paralimpici  hanno un filo comune, sono storie di persone che hanno trovato dentro di sé tutta la forza che possediamo in quanto esseri viventi perché "chi non ha affrontato le avversità non conosce la propria forza". La storia di Giovanni Achenza non fa eccezione. Una storia di forza, sacrificio, dolore ma soprattutto una storia di rivincita. Giovanni Achenza è Sardo, e orgoglioso di essere tale. Nato il 31 Luglio 1971 ad Ozieri (in provincia di Sassari), paesino che nel 1867 può vantare di essere stato rappresentato da un deputato speciale per il Regno D'Italia: un certo Giuseppe Garibaldi, che qualche segno del suo passaggio in questo mondo lo ha lasciato. Giovanni faceva il muratore e nel 2003 in seguito ad uno sciagurato incidente sul lavoro, a 32 anni, riporta una grave lesione midollare che lo rende paraplegico. Gli anni che seguono sono anni difficili, dove Ack, così lo chiamano i suoi amici, deve ritrovare se stesso, comprendere che la sua vita non è finita con quell'incidente e porsi dei nuovi obbiettivi perché un uomo senza un obbiettivo è come una zattera abbandonata in mezzo al mare. Tanta forza gli viene data dalla sua famiglia, dalla moglie e dalle due figlie. Poi, grazie ad un ortopedico, arriva l'incontro con l'handbike che da quel momento non lo lascia più. Dal 2007 inizia a correre in handbike nel paraciclismo facendo di una passione, uno sport e un obbiettivo. Così arrivano le prime soddisfazioni: Campione Italiano di handbike 2009, 2010, 2012, 2014, 2015 nella categoria H4. La prima rivincita di Ack
Nel 2009 arriva anche la convocazione nella nazionale italiana di paraciclismo che lo porta al Mondiale di paraciclismo dove si classifica ottavo. 
Poi arriva una delusione amara da digerire e che lo spinge a pensare di ritirarsi dall'attività sportiva. Non viene convocato dalla nazionale italiana di paraciclismo per le Paralimpiadi di Londra 2012. La sua frustrazione è grande e quella marea nera che ognuno ha dentro di sé gli dice di smettere, di fermarsi, di lasciar perdere tutto. Ma la forza di Ack ancora una volta ha il sopravvento. Decide di cambiare radicalmente, di porsi un nuovo, più ambizioso, obiettivo: diventare un atleta di Paratriathlon. E quindi aggiunge all'handbike anche il nuoto e la corsa con la wheelchair, cioè la carrozzina olimpica. Le gare di paratriathlon prevedono 750m di nuoto, 20km di handbike e 5km di corsa. Giovanni deve cambiare radicalmente i suoi allenamenti: in questo frangente viene a contatto con OTB e con il coach Federico Sannelli. Perché per il triathlon ci vuole un lavoro molto mirato e preciso: oltre ad allenare tre differenti discipline bisogna fare un lavoro di sintesi per integrarle fra loro. Giovanni capisce che Federico è l'allenatore giusto per trasmettergli una mentalità vincente.
Del cambiamento di mentalità di Ack, innescato dall'incontro con OTB, il suo allenatore mi ha raccontato un episodio significativo. Trovatisi in Canada, per una tappa di Coppa del Mondo di Paratriathlon, l'attenzione per ogni dettaglio era diventata talmente maniacale che Giovanni doveva stare attento anche all'alimentazione; essendosi stancato di mangiare pasta in bianco, si inventò la "Carbonara con la bresaola". Ricetta da lui creata per poter mangiare qualcosa di diverso ma pur sempre coerente con la vita da atleta. In quella tappa della coppa del mondo peraltro si classificò primo. 
La seconda rivincita di Ack passa proprio per il Paratriathlon poiché viene convocato dalla Nazionale Italiana e dove ottiene grandi risultati nella World Cup, come i secondi posti nelle tappe di Iseo, Besancon (FRA) e Sunshine Coast (AUS) e il primo posto nella tappa di East London in South Africa. 
La voglia di rivincita e la volontà di ottenere grandi risultati lo portano lontano dalla sua Sardegna; infatti si sposta con la famiglia a Riccione per essere in una posizione più agevole per le gare e gli allenamenti. I sacrifici, gli allenamenti e i risultati nelle gare producono i loro frutti e arriva la qualificazione alle Paralimpiadi di Rio 2016, dove per la prima volta nella storia il paratriathlon diviene disciplina olimpica.
Il 10 Settembre, nella gara olimpica, Giovanni Achenza da tutto il meglio di sé. Nella frazione di nuoto termina quinto, ma poi c'è l'handbike che è la sua specialità e così recupera fino ad arrivare appaiato al secondo posto con l'olandese Schipper e conclude infine la gara con la frazione di wheelchair al terzo posto. Bronzo Olimpico. Il più straordinario traguardo sportivo della sua vita. Proprio nella gara più importante Ack tira fuori il meglio di sé e ottiene questo grande successo che lo consegna nella storia dello sport olimpico italiano.
La grande rivincita di Ack è completa: la sua vita non è finita con quell'incidente del 2003, non è finita con la mancata convocazione per Londra 2012. Il guerriero che viene dalla Sardegna ha dimostrato che la grandezza di un uomo è dentro di sé e come recita una celebre poesia di William Ernest Henley:
"non importa quanto stretto sia il passaggio, 
quanto piena di castighi sia la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima."
R.M.
La medaglia più importante della sua vita. Rio 2016

Ack durante la gara di Rio 2016


Achenza e il suo allenatore Federico Sannelli


domenica 2 ottobre 2016

DIEGO PEROTTI
Essere figlio d'arte in Argentina non è una condizione facile. Essere figlio d'arte di un idolo Xeneizes a Buenos Aires è ancora più pesante. Il carico di aspettative che ci si porta dietro può letteralmente schiacciarti, specialmente se sei un ragazzo timido e gracile. Specialmente se erediti il cognome da El Mono Perotti e il nome da El Pibe De Oro Diego Armando Maradona.  Papà Hugo Perotti giocò con Maradona nel Boca e vinse insieme a lui un campionato nel 1981, segnando nella partita più importante su assist del Diez. Il 26 Luglio 1988 El Mono alla nascita di suo figlio si ricordò di quell'assist ricevuto dal più grande 10 della storia del calcio e lo omaggiò chiamando il figlio con il suo nome. Diego Perotti.
La vicenda di Hugo Perotti è singolare, un miscuglio di fato, magia, passioni sregolate e sfortuna; o più semplicemente El Mono era un fuoco che ardeva con troppa intensità e per questo si è spento presto, ma quanto brillava.. A soli 19 anni vinse la Copa Libertadores con il Boca Juniors decidendo la finale con una doppietta e a soli 25 anni si ritirò dal calcio per un infortunio al ginocchio. Una stella cadente che ha lasciato il segno del suo passaggio nei quartieri della Boca
Diego cresce nelle giovanili del Boca, ma soffre, gli allenatori sono durissimi con lui che è troppo fragile, troppo gracile per reggere quella pressione e allora smette di giocare a calcio per studiare. Ma il richiamo del campo è troppo forte, e per un ragazzo con quel nome e quel cognome il destino ha ben altri piani. Diego si presenta ad un provino per il Deportivo Moròn e viene preso, naturalmente.  Gli basta un anno nelle giovanili per poter essere titolare con la prima squadra ed entrare nei radar di uno dei migliori talent scout del calcio europeo: Monchi, direttore sportivo del Siviglia, a cui sono sufficienti 200 mila euro per portarlo nel club andaluso.  
Viene schierato come esterno nel 4-4-2 e a 21 anni, con un gol di testa allo scadere contro il Deportivo la Coruna, regala al Sevilla la qualificazione per la Champions League e suscita l'interesse della Juventus che arriva ad offrire 14 milioni di euro per lui ma l'offerta viene respinta dagli andalusi.
Proprio quando tutto sembra essersi messo per il meglio per El Monita, la "scimmietta", gli infortuni iniziano a perseguitarlo: dall'autunno del 2011 a metà del 2013 non gioca più di 7 partite consecutive, così torna al Boca Juniors in prestito ma gli infortuni lo seguono anche dall'altra parte dell'oceano e in totale gioca solamente 32 minuti. A 25 anni, come suo papà, pensa seriamente al ritiro. 
Con 350 mila euro il Genoa di Gasperini gli da fiducia e lo acquista. Curioso come la rinascita di questo giocatore che viene dal Boca, squadra fondata da genovesi, passi proprio per La Superba ma nei calciatori argentini la componente destino è spesso rilevante. 
Perotti in Serie A rinasce, è di nuovo quel giocatore imprevedibile sulla fascia che regala delle gemme ai propri attaccanti. 
Nel Gennaio 2016 arriva una chiamata che non ammette un rifiuto e Diego passa alla Roma alla corte di Spalletti che non lo impiega come esterno ma dietro le punte come Enganche, ruolo che in certi circoli in Argentina dicono sia morto con il ritiro di  Juan Roman Riquelme, non a caso l'idolo indiscusso di Diego Perotti. L'Enganche è il "gancio" tra il centrocampo e l'attacco, è l'uomo che sente le pulsazioni della partita e ne decide il ritmo del battito cardiaco. 
A Roma stiamo vedendo Perotti al suo meglio: giocate illuminanti, assist, gol decisivi, tanta passione e poi quei dribbling.. Il modo di dribblare degli Argentini non è lo sfavillio circense dei brasiliani, ma una danza sui tempi di gioco. Un Tango, che deriva dal verbo "tangere, toccare" e il dribbling degli argentini e la loro magia nel gioco risiede proprio nel tocco del pallone. 
L'inizio della stagione corrente di Diego Perotti è di alto livello: 5 partite, 3 gol e 2 assist; e lo scettro di rigorista ereditato dalla Leggenda con il numero 10 che pochi giorni fa ha spento 40 candelabri per il suo compleanno.
Questa sarà la stagione di El Monita Diego Perotti, un danzatore del gioco del calcio.