mercoledì 28 settembre 2016

DRIES MERTENS, O'Folletto
Svegliarsi la mattina, aprire le finestre e trovarsi davanti il Golfo Di Napoli con il Vesuvio che veglia sulla città dalle 500 cupole, bersi un buon caffè al fianco della propria moglie e della propria cagnolina a Palazzo Donn'Anna non è cosa da tutti.  Ma così inizia la giornata Dries Mertens, nella sua incantevole dimora a Posillipo. Decisamente un salto notevole per un ragazzo nato a Leuven, paesino di 100mila abitanti nelle Fiandre nota per aver ha dato i natali alla celebre birra Stella Artois
Dopo essere cresciuto nelle giovanili dell'Anderlecht Dries trova la sua fortuna calcistica in Olanda, nell'Agovv Apeldoorn grazie al tecnico John Van Den Brom (attuale allenatore dell'AZ)
dove con la bellezza di 29 reti viene eletto MVP della seconda divisione olandese.  Passa poi all'Utrecht brillando con 21 gol e 34 assist in 86 gare. Ruolino di marcia impressionante che lo porta al definitivo salto di qualità con il Psv Eindhoven in cui esplode letteralmente con dei numeri da capogiro (45 reti e 43 assist in 88 partite) e con la conquista di Coppa e Supercoppa D'Olanda
Questa sua crescita esponenziale può essere vista anche come conseguenza di un disegno più grande, ideato da Michel Sablon, che molti definiscono come il padre del movimento calcistico belga attuale. Sablon in veste di direttore tecnico della nazionale belga ha portato imponenti innovazioni nel movimento calcistico belga, tra cui un opuscolo contenente un decalogo di indicazioni da seguire per i settori giovanili; puntando su un calcio molto tecnico e teorizzando un modulo di gioco nazionale, il 4-3-3, con ali larghe e sempre nel vivo del gioco. Non a caso si può notare come l'attuale selezione belga vanti ali e trequartista del calibro di Eden Hazard, De Bruyne, Carrasco e... Mertens
Il 24 Giugno del 2013 Dries viene acquistato dal Napoli per 10 milioni di euro. A Napoli mostra tutto il suo talento, ma solamente per 20/30 minuti a partita, è il ricambio di lusso più prestigioso della Serie A. Sostituisce Insigne o Callejon nel gioco di Rafa Benitez e lo fa divinamente, con umiltà ed intelligenza. Qualità che si possono desumere anche dalla sua sfera personale, dal fatto che sia laureto in Scienze Motorie e sognava di diventare insegnante di educazione fisica come suo padre Herman, con il quale è molto legato e che lo ha spinto fin da subito ad andare a Napoli. Infatti la mattina in cui il telefono di casa Mertens squillò, ricevendo la telefonata di Benitez, papà Herman disse al figlio "Ti cerca il Napoli, non fare lo sciocco, accetta e basta. Quando chiama un club così prestigioso bisogna soltanto dire si." 
E se questo non vi basta per capire chi è Dries Mertens allora dovete sapere che nel 2015 ha sposato la sua fidanzata storica Katrin Kerkhof, che viveva anch'essa a Leuven. Si sono conosciuti alla festa di un vicino di casa, ad appena 12 anni. 
Questo ragazzo poi ha creato un legame speciale con la città di Napoli, città dove pulsa in ogni via, in ogni piazza e in ogni casa l'amore per il calcio. Un amore viscerale e appassionato che raggiunge picchi altissimi quando il San Paolo si riempie per gli azzurri
Mertens da 4 anni incanta la Serie A stregando gli avversari con un movimento che è sempre lo stesso ma che risulta ogni volta immarcabile. Punta l'uomo dalla fascia sinistra, rientra sul destro e poi calcia a giro sul secondo palo.  Movimento che in quest'annata ha già fatto le sue prime vittime (chiedete a Pescara e Milan). Questa capacità di realizzare un movimento del genere, sempre uguale a se stesso ma allo stesso tempo sempre efficace, l'ho vista solo in Arjen Robben, movimento che però si sviluppa sulla fascia destra per favorire il mancino magico dell'olandese volante.
Dries Mertens dopo aver raggiunto le 100 presenze in A, merita maggiore continuità in questa stagione perché ha dimostrato di avere tutto per essere una stella luminosa in questa Serie A.
Incantaci ancora O'Folletto!
R.M. 

giovedì 22 settembre 2016

ANDREA NALINI,  La Forza dei Sogni
La storia di Andrea Nalini è di quelle che fanno sognare chiunque abbia calciato un pallone, e che mentre lavora in ufficio, seduto con le gambe sotto la scrivania, fantastica di sentire il proprio nome chiamato dallo speaker dello stadio e di entrare sul campo sentendo il profumo dell'erba appena bagnata e il calore dei tifosi sugli spalti. La sua storia è un incoraggiamento a tutti quei ragazzi che dopo una giornata di lavoro, o di scuola, trovano le forze di prendere la strada del campo con il borsone in spalla, ed inseguire quel pallone che, non importa in quanti diranno il contrario, ma non è solamente un gioco. Andrea era uno di voi. Andrea è uno di voi che non ha mai smesso di crederci perché "se in un sogno credi tanto prima o poi si avvera"
Questo sua immensa fede nel suo sogno traspare anche dalle dichiarazioni che mi ha gentilmente rilasciato in esclusiva.
Solamente 4 anni fa giocava in Serie D nella Virtus Vecomp Verona, lavorando di giorno come magazziniere in un'azienda che produce Würstel e allenandosi la sera con i suoi compagni. Le gambe pesanti per aver indossato le scarpe antinfortunistica, la stanchezza dei turni di lavoro, ma quel sogno sempre in mente, più forte di tutto, che lo portavano al campo ad inseguire quel benedetto pallone. 
E poi la prima occasione, durante una finale playoff tra Virtus Vecomp Verona e Casertana, Andrea Nalini gioca una gran partita tanto da stregare gli osservatori della Salernitana che gli offrono un contratto. Sono tre anni importanti in cui Andrea può mettersi in mostra ma niente è regalato a questo ragazzo nato a Isola Della Scala, in provincia di Verona. Gli infortuni gli riservano momenti duri come lui stesso mi ha rivelato: "i momenti più duri sono quelli in cui non riesci ad esprimere te stesso perché la natura ti ferma, per cui i miei infortuni. Per prima la pubalgia, girando tutta Italia per venirne fuori e poi la condropatia al ginocchio destro. Due stop molto lunghi dove sia fisicamente che mentalmente reagire è dura." Ma "nella testa c'era sempre la convinzione di quello che sapevo fare, di quello che volevo dimostrare e sapevo che prima o dopo una soluzione a tutto si sarebbe trovata." 
E così è stato. La sua determinazione ha portato buoni frutti, 39 partite 3 gol e 12 assist con la Salernitana e l'approdo dalla serie C alla serie B. Proprio l'anno scorso in serie B è stato cruciale per la vita di Andrea Nalini. Anche se per via degli infortuni ha giocato poco, sono bastati 677 minuti di calcio giocato per dare abbastanza ragioni al Crotone dei miracoli, neopromossa in Serie A, da portarlo con sé nella massima serie. Per la sua prima stagione in Serie A il Crotone gli riserva la maglia numero 9, che l'anno scorso al di là della Manica è stata il simbolo di una squadra che ha creduto talmente tanto nel proprio sogno da realizzarlo. E la vestiva un certo Jamie, con una faccia sempre incazzata, che ha avuto una parabola molto simile al nostro Andrea Nalini. 
Quando gli ho chiesto del suo ruolo nel Crotone mi ha risposto che "finora sono stato impiegato sempre come quinto nel 3-5-2 però questo ruolo non esalta molto le mie caratteristiche che sono quelle di offendere ed attaccare. Diciamo che il ruolo che più mi esalta è l'esterno nel 4-4-2 o il terzo d'attacco con il 4-3-3."
E della maglia numero 9 mi ha detto che "volevo la maglia numero 7 ma era occupata da Palladino e allora ho preso la 9 che è la maglia con cui fin da piccolo ho tirato i primi calci al pallone e che mi ha accompagnato per tutte le giovanili, per cui ha un valore affettivo."
Per questa sua prima stagione in serie A, a 26 anni, volevo sapere qual'è il suo sogno, perché fino ad ora i suoi sogni lo hanno portato a viverne uno che infiamma gli stadi. E nella sua risposta c'è tutta la sua voglia di rivincita sulla vita: "Il mio sogno per questa stagione è sfruttare al meglio questa opportunità per dare continuità e premio a tutti i sacrifici fatti fino ad ora." 
Questo è Andrea Nalini, uno che ha combattuto per arrivare dov'è ora e che ha realizzato il sogno di tutti noi che abbiamo tirato un pallone verso quei tre pezzi di ferro, sperando di veder la rete gonfiarsi. E allora ogni volta che sentirete lo speaker dello stadio presentare "Con la maglia numero 9.. Andrea Nalini" sorridete perché siamo un po' tutti noi.
Forza Andrea
R.M. 




sabato 17 settembre 2016

MARKO PJACA, l'Houdini di Zagabria
Il 6 Maggio 1889 a Parigi veniva aperta al pubblico ufficialmente, per l'Esposizione Universale, La Tour Eiffel. Monumento simbolo di una città e di una nazione Intera. 106 anni dopo, il 6 Maggio 1995, nasce a Zagabria Marko Pjaca. Giovane monumento all'Arte del Dribbling, che se brillerà come gli astronomi del pallone prospettano sarà la stella più splendente di una città e di una nazione intera.
 I suoi genitori erano due lottatori nel vero senso della parola: La Madre campionessa di Judo e il Padre campione di lotta libera, e al piccolo Marko hanno trasmesso il senso della disciplina e dell'agonismo. Pjaca però fin da piccolo decide di non seguire le orme dei genitori "perché in pochi conoscono il più forte wrestler del mondo, ma tutti sanno chi sono i calciatori migliori del mondo" e chi è nato lo stesso giorno della Tour Eiffel porta con sé un'ambizione speciale.
Già a 9 anni viene ingaggiato dalla sua squadra del cuore, la Dinamo Zagabria. La Dinamo è una delle più grandi fucine di talenti del mondo calcistico, 15 giocatori sui 21 convocati dalla Croazia ad Euro 2016 sono cresciuti nel vivaio dei Modri. Questa incredibile produzione di talenti la si deve ai metodi di allenamento professati in quel di Zagabria. Da quando entrano nell'Under 14 infatti i ragazzi del vivaio per 5/6 giorni a settimana si allenano 8 ore al giorno, seguiti da allenatori e preparatori che sviluppano allenamenti personalizzati per ogni singolo ragazzo. Forgiato da anni di allenamenti Steineriani Marko Pjaca è cresciuto fisicamente (è alto 1,86m) e tecnicamente con in mente un unico obbiettivo: Il Grande Calcio Europeo. A 17 anni viene mandato in prestito alla Lokomotiva Zagabria dove fa il suo esordio nella massima serie croata e dove si fa le ossa prima di tornare a casa alla Dinamo. La stagione 2014/15 è quella della consacrazione come miglior talento del calcio croato, in una stagione con 14 gol e 6 assist, impreziosita dalla tripletta contro il Celtic in Europa League. 
Marko ha una vocazione però, che segue con cieca fedeltà, ed è quella del Dribbling. Ne è ossessionato e ne fa una ragion d'essere. Il suo soprannome è il Ronaldinho dei Balcani, per via della sua adorazione lucida dell'ex numero 10 della Seleção, lucida perché non è un'adorazione fine a sé stessa ma il piccolo Pjaca ne studia i movimenti e ne carpisce le mosse con cui l'illusionista verdeoro stordisce i suoi avversari. 
La partita che consegna Marko Pjaca al Grande Calcio è Spagna-Croazia ad Euro 2016, che si giocano proprio nella terra della Torre realizzata da Monsieur Eiffel. Il Ronaldinho dei Balcani ammattisce letteralmente le furie rosse con dribbling e giocate a velocità spaziali. Chiude l'Europeo come il giocatore con il maggior numero di dribbling in relazione ai minuti giocati ed è subito chiaro a tutti che il suo futuro non sarebbe stato più in Croazia.
La chiamata dal Grande Calcio infatti non tarda ad arrivare ed è più che autorevole: la Juventus pentacampione d'Italia. Marko si presenta a Torino con grande umiltà e con in spalla il bagaglio di disciplina e senso del dovere che la Dinamo e la sua famiglia gli hanno fornito. Per la prima volta in vita sua va a vivere da solo, infatti fino a pochi mesi fa viveva ancora con mamma e papà a Zagabria, contribuendo alle spese familiari. 
Questo è Marko Pjaca, un ragazzo semplice, attaccato alla sua famiglia, con grande professionalità e ambizione. Un giocatore di enorme talento, un pioniere del dribbling e della giocata spettacolare.
In questa stagione aspettiamoci di essere stupiti dall'Houdini di Zagabria, la Serie A ha un grande bisogno di talento e di spettacolo e Marko Pjaca è un artista del Dribbling nato lo stesso giorno della Tour Eiffel. Bellezza al potere. 
R.M.




domenica 11 settembre 2016

LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE
In un afoso pomeriggio colombiano si incontrano l'Atletico Junior e il Deportivo Pasto. Il risultato è inchiodato sullo 0-0 e la gente sugli spalti mugugna. L'allenatore dell'Atletico, Julio Avelino Comesaña, si gira verso la panchina e chiama un ragazzo di 22 anni che non aveva mai giocato con i professionisti prima d'ora.  Il ragazzo si alza, emozionato dall'imminente esordio con la sua squadra del cuore, e si dirige a fianco del quarto uomo. Il pubblico dell'Atletico Junior inizia a fischiarlo. Non lo conoscono e non gli danno fiducia. Ma Il ragazzo è abituato, nessuno gli ha mai regalato nulla nella sua vita, figuriamoci se gli regalano qualcosa di così importante come la fiducia. Entra e il primo pallone che tocca lo trasforma in rete. 1-0. Pochi minuti dopo altra palla dal limite. Destro a giro. 2-0. Esordio con doppietta per il ragazzo fischiato dal suo pubblico, che ora è tutto in piedi a cantare il suo nome. Era il 1 marzo 2009 e quel ragazzo si chiamava Carlos Arturo Bacca. E fino a pochi mesi prima la mattina vendeva il pesce insieme al padre Gilberto al porto di Barranquilla e al pomeriggio faceva il controllore sull'autobus per la tratta Barranquilla-Puerto Colombia (150km). Da quel pomeriggio la sua vita cambia, finalmente è un professionista nel settore delle reti. Non più reti da pesca ma reti che contornano una porta da calcio e ogni volta che il pallone viene catturato da quelle reti Carlos alza le mani verso il cielo ringraziando Dio. 
Con l'Atletico Junior si mette in mostra a tal punto che un salto di qualità pare inevitabile. Infatti viene cercato dal Boca Junior prima e dal Lokomotiv Mosca poi. Proprio con i Russi sembra fatta quando si inserisce il Club Bruges. Nel Gennaio del 2012, a 25 anni, arriva nel calcio Europeo "El Peluca", chiamato così per via della folta chioma di capelli che teneva lunghi da piccolo. Trascina i nerazzurri fino al preliminare di Champions League, e dopo l'eliminazione del Club Bruges, si accorge che questa città fiamminga è troppo piccola per lui. Così inizia un'asta tra diversi club europei che vede spuntarla il Sevilla di Emery. A Siviglia avviene la sua consacrazione e l'iscrizione al club degli attaccanti più prolifici d'Europa. 49 gol 108 presenze conditi da due vittorie dell'Europa League, con tanto di doppietta nella finale del 2015 contro il Dnipro, dove due conoscenze del nostro calcio salgono in cattedra: Kalinic firma l'1-0 per il Dnipro e Banega regala un assist a Carlos vincendo anche il titolo di MVP della finale. 
Dopo questa finale Bacca passa al Milan per 30 milioni di euro.Nella prima stagione con i rossoneri segna 20 reti in 43 partite, capocannoniere della squadra. Ma tutto questo non basta, nell'estate appena trascorsa il Milan cerca di venderlo per monetizzare. Ancora una volta non gli è concesso nulla, nemmeno la fiducia. E Bacca risponde nell'unico modo che conosce, riempiendo le reti: prima partita di Serie A e Carlos segna una tripletta al Torino che regala 3 punti ai rossoneri. 
Dalle reti del porto di Barranquilla alle reti della Scala Del Calcio, sempre con le mani rivolte verso il Cielo.
Questa è la Leggenda del Re Pescatore, Carlos Arturo Bacca Ahumada.

R.M.





sabato 10 settembre 2016

EVER BANEGA El Tanguito
A Rosario, nella città del futbòl, c'è un derby tra due selezioni giovanili che è sentito dai Rosarini come il Superclàsico Boca-River: Alianza Sportiva contro Grandoli Fc. La sfida ha luogo su quei campi impolverati che si trovano solo in Argentina, dove giocando si respira a pieni polmoni polvere e futbòl. Le partite della classe '87 rimangono negli annali. I numeri 10 delle due selezioni sono entrambi piccoli, uno in particolar modo, ma sono di gran lunga i migliori giocatori in campo. Nell'Alianza Sportiva Il numero 10 è Ever Banega mentre per il Grandoli Fc veste quella maglia Lionel Andrés Cuccitini, meglio conosciuto come Leo Messi. Banega ricorda quelle partite. "Era uno spreco di tempo perché avremmo giocato contro un nano e ci avrebbe fatti sembrare tutti degli stupidi. Era piccolo, la divisa era troppo grande per lui, ma quello che faceva era già fenomenale."  In realtà Ever non avrebbe neanche dovuto giocare perciò precisa:"Ero in una categoria di età inferiore, ma mio papà era l'allenatore della classe 1987 e così era solito farmi giocare in quella categoria." Infatti Banega nasce il 29 Giugno 1988 nel Barrio Saladillo a Rosario. La sua infanzia è come quella di tanti ragazzini nati nel Barrio, non ci sono soldi e ogni cosa va guadagnata. Perfino le scarpe da calcio erano da condividere con i fratelli. "Luciano giocava all'una, Cesàr alle tre e poi arrivavo io". Ma il suo talento non era come quello di tanti, il talento di Ever era evidente e fu la sua ancora di salvezza.  J.Griffa, grande maestro di futbòl argentino, che ha avuto come apprendisti gente del calibro di Valdano, Batistuta e Tevez, lo nota e lo porta da Rosario a Buenos Aires sponda Xeneizes. Griffa sul Tanguito dichiara che era bravo tecnicamente ma quello che mi sorprese davvero era la sua straordinaria mentalità. Questa mentalità lo porta ad essere titolare a 18 anni nel Boca Juniors e a vincere la Copa Libertadores nel 2007. A 19 anni, 19 è il suo numero fortunato tanto da tatuarselo sul polpaccio destro insieme allo scudetto del Newell's Old Boys (squadra di cui è tifoso devoto), arriva la chiamata Europea. Ever Banega è un nuovo giocatore del Valencia. Ma quelli che dovrebbero essere gli anni della sua consacrazione sul palcoscenico europeo sono invece caratterizzati dalle sbandate fuori dal campo. Un'escalation di Alcol, movida e allenamenti con pesanti postumi da sbornia che culmina con la rottura di tibia e perone. Infortunio che non avviene su un campo da calcio ma da un benzinaio. Banega non si ricorda di mettere il freno a mano alla sua Audi A8 e quando questa inizia a muoversi prova a fermarla con la gamba. Risultato: 6 mesi di stop.
Iniziano anni difficili, fatti di prestiti e prestazioni anonime, fino a che non arriva la svolta. E la svolta ha un nome e un cognome. Unai Emery.  Che lo allena prima a Valencia e poi nel Sevilla tre volte vincitore dell'Europa League. Emery lo inventa falso diez, in un ruolo più offensivo in cui Ever può spaziare nella metà campo avversaria e inventare assist al bacio, come quello in finale di Europa League contro il Liverpool. Geniale. In entrambe le finali Banega viene nominato El Hombre del partido con conseguente titolo di MVP della Finale. Per la stagione 2016-17 Banega firma per l'Inter dove avrà il compito di ammaliare S.Siro con le sue giocate fenomenali, regalando assist per i nerazzurri. Ma se volete sapere chi è Ever Banega e qual'è il suo ruolo, dovete sentire le parole di uno dei massimi conoscitori del calcio argentino in Italia. Lele Adani. Per comprendere Banega "si deve uscire dal concetto di ruolo per entrare nel concetto di pensiero calcistico." Questo è Banega, un anarchico della tattica, un funambolo del pensiero calcistico.
Bienvenido Tanguito,
R.M.


martedì 6 settembre 2016

Gonzalo Gerardo Higuain
Buenos Aires. Ottobre 1988. Il piccolo Gonzalo ad appena 10 mesi è ricoverato d'urgenza, una meningite fulminante lo manda in coma. I medici hanno poche speranze ma il bambino ha una forza speciale, esce dal coma e si riprende. Suo padre, Jorge Higuain detto El Pipa, non ha dubbi. "Questo bambino è rimasto per qualche motivo." Si, quel bambino ha il profumo dei campioni, quell'alone di fascino magnetico che conquista tutto e tutti.  Come dirà madridista: "no es un milagro, es Gonzalo Higuain". Ed è vero, non è un miracolo, è Gonzalo Higuain. Quella forza che ha fatto guarire il piccolo Pipita, è la stessa che lo spinge a porsi degli obbiettivi e poi a raggiungerli, la stessa forza che aveva la sua famiglia. Perché se vuoi vedere quanto è forte un albero devi guardarne le radici, e le radici di Higuain sono in una famiglia di duri. Il Suo Viejo, El Pipa, era un difensore, un lottatore vero dal carisma palpabile. Basti pensare che è stato capitano sia al Boca Juniors che al River Plate, privilegio riservato a pochissimi. Ma il più simile a Gonzalo, a detta dei suoi parenti, è il nonno materno. Santos Zacarias. Allenatore di Boxe campione del mondo con Juan Martìn Coggi. Il nonno era un Ganador. Non mollava mai, ci credeva sempre, anche quando tutti gli altri gli dicevano che era impossibile. Ma alla fine aveva sempre ragione lui. Gonzalo Higuain è questo prima di tutto, un Ganador, uno che non molla mai, che insegue la vittoria perché non sa fare altro. Questa ossessione per la vittoria è il motivo che lo ha spinto a cambiare aria dopo una stagione leggendaria con il Napoli, 36 gol in 38 partite di Serie A, come lui nessuno mai. E in Italia c'è solo una squadra che ha la sua stessa ossessione, tanto da avere come manifesto ideologico l'adagio vincere non è importante, ma è l'unica cosa che conta. La Juventus. Il suo è il trasferimento più costoso della storia della Serie A, 90 milioni di euro. Il giocatore che solo pochi mesi prima sigillava il record di gol con una tripletta al Frosinone e con un 36esimo gol irreale (Mertens si accentra dall'angolo sinistro dell'area di rigore,  vede Gonzalo e lo serve con un pallone morbido. Il Pipita ha sei giocatori avversari intorno a sé e deve essere rapido, così stoppa di petto e in acrobazia di destro segna un gol leggendario. La telecronaca di quegli istanti magici di Maurizio Compagnoni e Lele Adani è già parte della storia del giornalismo sportivo italiano.) adesso è assalito dalle critiche per il suo trasferimento e per lo stato di forma in cui si è presentato a Vinovo. Ma Gonzalo è forte, e orgoglioso. El Mundo Deportivo ai tempi del Real Madrid ci aveva visto bene: "Higuain è un duro, soprattutto di testa, sopravvive alle critiche, alle cospirazioni e alle ferite con una fede infinita nelle sue capacità". E questo fa anche nei primi mesi in bianconero e alla prima occasione ufficiale. Juventus-Fiorentina, alla prima di Serie A, entra in campo al 21esimo del secondo tempo sull'1-0 facendo alzare tutto lo Juventus Stadium, ma pochi istanti dopo è la Viola a segnare portando il risultato sull'1-1. Gonzalo è già chiamato a risolvere la prima partita.  9 minuti dopo il suo ingresso in campo il Nueve legge prima di tutti l'azione e si avventa sul pallone facendolo passare tra palo e portiere. Dimostrando tutta la sua capacità di segnare, perché come ha dichiarato il suo allenatore, Allegri, a fine partita. Il gol è la sua arte. E cos'altro ci si poteva aspettare dal figlio di un calciatore e di una pittrice? Higuain nella sua nuova avventura è un giocatore più maturo, pronto ad essere il miglior Gonzalo di sempre. E non chiamatelo più Pipita, ora è cresciuto e tutti i suoi compagni lo chiamano Pipa. Finora abbiamo visto il meglio del Pipita, da adesso aspettiamoci di vedere il meglio del Pipa. 
Buena Suerte Pipa.
R.M.

domenica 4 settembre 2016

Il Calcio di Fidia
Questo Blog nasce con l'intento di raccontare il mondo del calcio facendo dei ritratti dei protagonisti di questo magico sport, inteso come epica moderna. Le gesta in guerra degli eroi del passato sono ora per noi le gesta atletiche degli sportivi. Passioni, tormenti, paure e ambizioni sono gli stessi sentimenti che muovevano gli eroi dell'antica Grecia, e che ora spingono i nostri campioni alla conquista della Gloria. E proprio dall'antica Grecia arriva Fidia, il più celebre scultore di ogni epoca, che ritraeva vite intere in una singola scultura. L'intera essenza di un essere umano veniva catturata e poi immortalata attraverso una scultura, Fidia perciò altro non era che un ritrattista, un uomo in grado di raccontare vite umane con lo spirito di osservazione e la capacità di contestualizzare degna dei migliori storyteller del nostro tempo. In questo blog quel che cercherò di fare sono delle sculture, dei ritratti di moderni eroi, dei campioni che riempiono il nostro immaginario e stuzzicano la nostra fantasia.

Meloni Riccardo.